India

In viaggio con una sconosciuta

 

Il viaggio in treno è lungo, dopo una giornata come questa, piena di piccoli e pungenti stimoli, l’aria calda e il dondolìo del treno danno quella tranquillità sonnolenta che serve per affrontare il ritorno a casa dalla stazione. Sul piazzale della stazione del mio quartiere alle sette di sera si riunisce un circo di mercanti, mendicanti e passanti che vendono, comprano, guardano. Attorno a loro si avvita e si srotola un serpente di persone che aspettano in un ordine surreale, considerato quello che c’è attorno, il loro rickshaw. I rickshaws arrivano pigri, uno alla volta, in fila anche loro ma con un’aria meno da fabbrica giapponese e più da gita scolastica. Io sono lì e c’è talmente rumore, gente, colori, luci che si accendono, treni stridenti che arrivano che mi sembra che al tempo stesso la mia persona sparisca e il mio respiro abbia un peso insopportabile.

Salgo su un rickshaw, dico dove devo andare e senza che abbia il tempo di rendermene conto si materializza seduta di fianco a me una sconosciuta bellissima, che profuma di gelsomino e che evidentemente è una mia proiezione mentale, perchè donne così al mondo non esistono.

Invece lei esiste, si chiama Dimple, mi dice, “ho sentito che andavi verso Pali Naka e io vado nella stessa direzione…” non finisce neanche la frase, è scontato che per me va bene. E per me va bene.

Non aspetta che le faccia domande, parla lei. Fino a un mese fa salivo sui rickshaw pronta per una battaglia immaginaria a difesa della borsa, dell’orologio, del computer, della vita, adesso no, adesso salgo su un rickshaw, una sconosciuta si appollaia vicino a me sorridendo e io non faccio domande.

“Devo arrivare in palestra prima delle otto perchè poi chiude e devo fare almeno due ore…”

“Non sembri una che ha bisogno di palestra”

“ Sono una modella” risponde, come se fosse una buona risposta.

E poi inzia a raccontare di lei e mi sfugge quasi tutto, perchè una delle prime cose che mi dice è che viene da Dharavi, lei lo dice per spiegare che il viaggio per andare in palestra è lungo, io non riesco a pensare ad altro perchè Dharavi è uno slum.

Mi fa vedere le foto del suo ultimo lavoro sul cellulare: sullo sfondo del Taj c’è lei con dei sari colorati. É una bella ragazza, ma mi resta comunque incollato alla mente che lei viene da Dharavi. Dharavi. Dharavi.

E cerco di non dimenticarmelo perchè guardare come muove le mani o come sono discretamente profumati i suoi capelli mi fa capire che lei a Dharavi c’è nata ma le sue due ore di palestra al giorno, in una delle palestre più belle e meglio frequentate della città, nel quartiere più ricco, da Dharavi la porteranno via molto presto. Forse. É quello che spera.

Non so bene cosa dire, di lei, di questa situazione. Se fossi stato un uomo solo probabilmente l’avrei invitata a cena, essendo una donna che stava correndo a preparare la pasta con le cime di rapa l’ho solo vista scendere sorridendo, con due occhi che già guardavano al futuro brillante che l’aspetta e mettermi in mano venti rupie dicendo “é la mia parte del tragitto”.

 

Dell’India è difficile l’interpretazione. Una psicologa che fa la volontaria qui mi ha fatto notare che uno dei bambini, quello che in assoluto io detesto più cordialmente, è l’unico bambino normale. Siamo circondati da bambini stupendi, che nonostante tutto quello che hanno passato sono sempre sorridenti, giocano, si divertono, obbediscono a qualunque richiesta, tranne Surya.

Surya è continuamente in conflitto con il mondo e tutte le sue reazioni sono di sfida, cosa che logora e lo rende insopportabile. Ma normale.

Quello che mi ha fatto notare Cecilia, e a cui forse avrei dovuto pensare da sola, è che tutti i bambini sono, a modo loro, delle piccole aberrazioni psicologiche. Che un bambino possa vedere suo padre darsi fuoco, sua madre picchiata e violentata o che lui stesso venga messo in un centro per toglierlo dalle mani di un pazzo che lo cresce sui binari del treno facendogli fare lavori improbabili e che riesca pochi mesi dopo a ridere e giocare come tutti gli altri lo rende solo molto più diverso.

Diverso da chi, Cecilia?

Diverso da quello che noi possiamo interpretare con la nostra logica e cultura occidentale. L’aberrazione che abbiamo di fronte tutti i giorni è che quello che ormai consideriamo strano e problematico è l’unico bambino normale, l’unico che ha una reazione che possiamo spiegare.

Però è vero che viene da chiedersi perchè tutti gli altri sono così apparentemente serenamente “anormali”? Perchè il mondo in cui vivono loro ha creato degli standard di normalità diversi dai nostri e se vivi in un mondo dove tutti sono come te non ti reputi più o meno fortunato di nessuno, la scala della fortuna è una roulette russa, c’è chi ha il tamburo vuoto e chi no.

Si, l’interpretazione è la cosa più difficile della vita quotidiana, perchè richiede una capacità di astrazione che io non sempre ho. Credo che la cosa più difficile qui non sia vedere la povertà ovunque si posi l’occhio quanto comprenderla; e comprenderla non vuol dire notarla, non vuol dire giustificarla, non vuol dire ignorarla. Vuol dire andare alla radice della miseria, guardare un uomo e accettare che è un tuo simile, e sembra una riflessione scontata ma quante volte la povertà impietosisce e quante poche volte suscita empatia?

Qualcuno mi ha detto che dopo tanti anni d’Africa trovarsi catapultati nel pieno della guerra serbo croata è stato scioccante. E non perchè quella guerra fosse più violenta di quella in Burundi o in Sudan o in Rwanda, ma perchè quella gente era bianca. E non voglio cadere nel moralismo scontato, tutti hanno capito a cosa mi riferisco senza che io debba andare a grattare con l’unghia quel velo di rispetto per le vite degli altri, l’India e l’animo umano non li devo raccontare io. Ma ogni volta che ci penso e vedo che anche io scivolo nell’ovvietà di dispiacermi per qualcosa che in fondo non posso capire la piccolezza dell’uomo mi colpisce come un pugno nello stomaco.

Un’altra cosa che l’India mi ha insegnato è che la nostra evoluzione è ancora a uno stato embrionale e che evidentemente, nel disegno universale, ci sono ancora tanti passi da fare.